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Evola Julius - La razza iperborea e le sue ramificazioni


Author : Evola Julius (Giulio Cesare Evola)
Title : La razza iperborea e le sue ramificazioni
Year : 19*

Link download : Evola_Julius_-_La_razza_iperborea_e_le_sue_ramificazioni.zip

Il limite che si può dare alla nostra dottrina della razza in fatto di esplorazione delle origini cade nel punto, in cui la razza iperborea dovette abbandonare, ad ondate successive, seguenti itinerari diversi, la sede artica, per via del congelamento che la rese inabitabile – nelle opere già citate si è già accennato a quel che rende fondata l’idea, che la regione artica sia diventata quella dei ghiacci eterni solo a partire da un determinato periodo: i ricordi di quella sede, conservati nelle tradizioni di tutti i popoli nella forma di miti varii, ove essa appare sempre come una “terra del sole”, come un continente insulare dello splendore, come la terra sacra del Dio della luce, e così via, sono già, nel riguardo, abbastanza eloquenti. Ora, nel punto in cui si iniziarono le emigrazioni iperboree perisotiche, la razza iperborea poteva considerarsi, fra tutte, quella superiore, la superrazza, la razza olimpica riflettente nella sua estrema purità la razza stessa dello spirito. Tutti gli altri ceppi umani esistenti sulla terra in quel periodo, nel complesso, sembra che si presentassero o come “razze di natura”, cioè razze animalesche, o come razze divenute, per involuzione di cicli razziali precedenti, “razze di natura”. Gli insegnamenti tradizionali parlano in realtà di una civiltà o di una razza antartica già decaduta al periodo delle prime emigrazioni e colonizzazioni iperboree, i cui residui lemurici erano rappresentati da importanti gruppi di razze negridi e malesiche. Un altro ceppo razziale, distinto sia da quello iperboreo che da quello antartico-lemurico, era quello che come razza bruno-gialla occupò originariamente il continente eurasiatico (razza finnico-mongoloide) e che come razza rosso-bruna ed anche, nuovamente, bruno-gialla occupò sia una parte delle Americhe che terre atlantiche oggi scomparse. Sarebbe evidentemente assurdo tentare una precisa tipologia di queste razze preistoriche e delle loro combinazioni primordiali secondo caratteristiche esterne. Ad esse ci si deve riferire solo per prevenire degli equivoci e potersi orientare fra le formazioni etniche dei periodi successivi. Anche l’indagine dei crani fossili può dirci ben poco, sia perché non dal solo cranio è caratterizzata la razza, perfino la semplice razza del corpo, sia perché vi sono ragioni per affermare fondatamente, che per alcune di tali razze dei residui fossili non potettero conservarsi fino a noi. Il cranio dolicocefalo, cioè allungato, unito ad un’alta statura e ad una slanciata figura, al colorito biondo dei capelli, chiaro della pelle, azzurro degli occhi, è, come è noto, caratteristico per gli ultimi discendenti delle razze nordiche direttamente calate dalle regioni artiche. Ma tutto ciò non può costituire l’ultima parola; anche a volersi limitare all’ordine positivo, bisogna far intervenire, per orientarsi, le considerazioni proprie al razzismo di secondo grado. Infatti già si è detto che per la razza l’elemento essenziale non è dato dalle semplici caratteristiche corporee e antropologiche, ma dalla FUNZIONE e dal SIGNIFICATO che esse hanno nell’insieme di un dato tipo umano. Dolicocefali di alta statura e slanciata figura si trovano infatti anche fra le razze negridi, e colorito bianco e occhi quasi azzurri si trovano fra gli Aino dell’Estremo Oriente e le razze malesi, stando naturalmente, in tali razze, a significare tutt’altro; né qui si deve pensare solo a delle anomalie o a scherzi della natura, in certi casi potendosi trattare di sopravvivenze somatiche spente di tipi procedenti da razze le quali, nel loro remotissimo periodo zenitale, potevano avere caratteri simili a quelli che, nell’epoca da noi considerata, si trovarono invece concentrati nell’elemento nordico-iperboreo e, qui, accompagnati, fino ad un’epoca relativamente recente, dal significato e dalla razza interna corrispondente. Quanto alle emigrazioni delle razze di origine iperborea, avendo anche di esse parlato nei libri già citati, limitiamoci ad accennare a tre correnti principali. La prima ha presa la DIREZIONE NORD-OVEST SUD-EST raggiungendo l’India e avendo come suoi ultimi echi la razza indica, indo-afgana e indo-brachimorfa della classificazione del Peters. In Europa, contrariamente a quel che si può credere, le tracce di tale grande corrente sono meno visibili o, almeno, più confuse, perché si è avuta una sovrapposizione di ondate e quindi una composizione di strati etnici successivi. Infatti, dopo questa corrente della direzione nord-ovest sud-est (corrente nordico-aria trasversale), una seconda corrente ha seguito la DIREZIONE OCCIDENTE-ORIENTE, in molti suoi rami attraverso le vie del Mediterraneo, creando centri che talvolta debbonsi considerare anche più antichi di quelli derivati dalla precedente ondata trasversale, per il fatto che qui non sempre si trattò di una emigrazione forzata, ma anche di una colonizzazione operata prima della distruzione o della sopravvenuta inabitabilità dei centri originari della civiltà d’origine iperborea. Questa seconda corrente, col relativo tronco di razze, possiamo chiamarla ario-atlantica, o nordico-atlantica o, infine, atlantico-occidentale. Essa proviene in realtà da una terra atlantica, in cui si era costituito un centro che, in origine, era una specie di immagine di quello iperboreo. Questa terra fu distrutta da una catastrofe, di cui parimenti si ritrova il ricordo mitologizzato nelle tradizioni di quasi tutti i popoli, ed allora ale ondate dei colonizzatori si aggiunsero quelle di una vera e propria emigrazione. Si è detto che la terra atlantidea conobbe in origine una specie di fac-simile del centro iperboreo, perché i dati fino a noi per giunti ci inducono a pensare ad una involuzione sopravvenuta sia dal punto di vista della razza, sia dal punto di vista della spiritualità, in questi ceppi nordici scesi già in epoche antichissime verso il sud. Le mescolanze con gli aborigeni rossobruni sembrano, nel riguardo, aver avuta una parte non indifferente e distruttiva, e se ne trova un ricordo preciso nel racconto di Platone, ove l’unione dei “figli degli dèi” – degli Iperborei – con gli indigeni è data come una colpa, in termini, che ricordano quel che in altri ricordi mitici, viene descritto come “caduta” della razza celeste – degli “angeli” o, di nuovo, dei figli degli dèi, ben elohim – la quale si congiunse, ad un dato momento, con le figlie degli uomini (delle razze inferiori) commettendo una contaminazione significativamente assimilata, da alcuni testi, al peccato di sodomia, di commercio carnale con gli animali. ...

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